
Rai Play rende omaggio a François Truffaut mettendo a disposizione gratuitamente su Rai Play 11 (undici) suoi film in versione integrale e restaurata con doppio audio e sottotitoli. Potete guardarli su Effetto Truffaut. Noi, nel nostro piccolo, ve li presentiamo a puntate. A poco più di 60 anni dal suo debutto con “I 400 colpi” ancora oggi Truffaut resta uno di quegli autori che sa toccare il cuore con ogni film. Perché Truffaut era veramente l’uomo che amava il cinema e e riusciva a portare sullo schermo tutto il suo amore per la vita. In questo capitolo “Jules e Jim”, “La calda amante” e “Baci rubati”.
“Fare un film significa migliorare la vita, sistemarla a modo proprio, significa prolungare i giochi dell’infanzia, costruire un oggetto che è allo stesso tempo un giocattolo inedito e un vaso dove si disporranno, come se si trattasse di un mazzo di fiori, le idee che si hanno in questo momento o in modo permanente. Il nostro film migliore è forse quello in cui riusciamo a esprimere, più o meno volontariamente, sia le nostre idee sulla vita che le nostre idee sul cinema.”
Non staremo qui a raccontarvi chi era Truffaut, ma ci teniamo a presentarvi questo omaggio che la RAI gli attribuisce. Undici film rappresentativi della sua opera, undici film senza tempo, undici film in cui la macchina da presa di Truffaut rinchiude la vita e la rende grande e unica. Come la nostra che li stiamo a guardare.
L’omaggio di Rai Play a Truffaut in 11 film
“Finalmente domenica!” (Vivement Dimanche!), 1983
con Fanny Ardant, Jean-Louis Trintignant, Jean-Pierre Kalfon, Philippe Laudenbach, Philippe Morier-Genoud, Anik Belaubre
Poi, un giorno, tutto finisce. Il Maestro si ammala di un brutto male e ci lascia; è l’ottobre del 1984. Due anni scarsi prima aveva girato Finalmente Domenica!, che vede protagonista una scintillante Fanny Ardant, sua compagna dell’epoca e che gli darà nello stesso 1984 una figlia, Josephine.
Quando tra novembre e dicembre del 1982 Truffaut gira Finalmente domenica! non sa ancora di essere malato e non sa che si tratterà del suo ultimo film, ma mi piace pensare che in qualche modo lo intuisse, tanto da metterci dentro tutto se stesso, il lato umano e quello registico. Il film è un thriller, come La sposa in nero, ma per nulla drammatico, anzi, a tratti scanzonato. Truffaut si diverte e si vede. Mi perdonino i puristi, ma sembra quasi un Tarantino ante-litteram, che infila nei suoi film tutto quello che gli piace e che gli passa per la mente, e se la trama a volte si inceppa o è proprio scombinata, chissenefrega, cinema is bigger than life!
E così come per Tarantino, si nota nell’ultimo Truffaut il gusto per la letteratura pulp e i B-movie. L’ispirazione è infatti in un romanzo di Charles Williams (alzi la mano chi ne ha mai sentito parlare), “The long Saturday night”; la storia vede il proprietario di un’agenzia immobiliare nel Sud della Francia (Trintignant) invischiato in una serie di omicidi di persone a lui vicine (moglie compresa) e costretto a dipanare il bandolo prima di essere arrestato, con il solo aiuto della sua volitiva segretaria (Ardant). Un giallo, quindi, che dà a Truffaut l’opportunità di tornare al suo amatissimo bianco e nero. Trattandosi di film giallo, viene immediato pensarlo un omaggio a quello che lo stesso regista ha sempre considerato il suo maestro, il re del thriller Alfred Hitchcock, protagonista del libro-intervista pubblicato dallo stesso Truffaut nel 1966. In realtà, di hitchcockiano il film ha poco-nulla. L’ambientazione è più quella del Falcone maltese (che inaugurò sì il mito di Bogey, ma nasce come B-movie a tutti gli effetti) e soprattutto, come sostengono Barbera e Mosca nel Castoro Cinema dedicato al regista, la serie dei giallo-rosa de L’Uomo Ombra, con Mirna Loy e William Powell (Ah, l’Uomo ombra… ARRIDATECE I FILM DEL LUNEDI’ SU RAIUNO!!!).
Ma i guilty pleasure alla Tarantino non finiscono qui; il film è un monumento al garbato egocentrismo del regista: l’autocitazione de l’uomo che amava le donne (la passerella di Fanny Ardant per il suo uomo nascosto nello scantinato, che come in una caverna platonica vede le splendide gambe, ma non a chi appartengano), l’erotismo che emana da qualunque inquadratura dell’Ardant (Truffaut, suo compagno fin da La signora della porta accanto, la ammira e la esibisce senza pudore, da meraviglioso erotomane qual era); e poi, telefonate anonime, cattivi accoltellati nel buio, pedinamenti notturni di prostitute, gangster, … manca solo la donna barbuta (ma c’è invece la donna sfregiata).
In questo bailamme, Truffaut si diverte come un riccio: fa dialogare la protagonista con la telecamera (altra autocitazione), inserisce flash-back inutili, vira al grottesco le scene nel commissariato, dall’ispettore macchietta al protagonista che, nella tensione dell’interrogatorio, si mette a fumare due sigarette assieme, non rinuncia a battute fulminanti come nel ciclo di Antoine Doinel (“Qui siamo in Francia, e grazie al cielo in questo Paese il delitto che si difende meglio in tribunale è quello passionale”).
Il film è tutto questo, ma non fate l’errore di considerarlo una maionese impazzita; è un atto di devozione totale e incondizionata a quello che Truffaut ha amato di più al mondo: le donne, rigorosamente sexy, e il cinema, preferibilmente in bianco e nero.
C’è poi una scena che rimane impressa, Fanny Ardant in attesa dentro l’auto che vede Trintignan aggredito in un palazzo, perché Paul Verhoven la inserisce praticamente identica in Basic Instinct, altro film che quanto a thrill ed erotismo, non ha da imparare da nessuno. Escluso Truffaut, s’intende.
Adieu, Maestro (e grazie di tutto).

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