
Aggirandomi fra i post di Facebook mi sono imbattuta in un pensiero di un’amica. Intendo un’amica vera, in carne e ossa, cioè una persona che ha avuto un ruolo importante nella mia esistenza, a cui voglio bene, con cui mi confronto non solo online ma anche nella realtà, anche se meno di quanto vorrei.
Abbiamo frequentato insieme l’Università di Bologna, Scienza Politiche, Indirizzo Sociologico e ci siamo laureate nella stessa materia, con la stessa docente. Formavamo un piccolo gruppo di 4 ragazze. Erano gli anni ’80 e ancora oggi siamo amiche. Ci ha unito la passione per le materie di studio e siamo rimaste legate sino ad oggi. Forse perché, oltre a preparare gli esami insieme, fra noi si discuteva di politica, società, musica, cinema, arte, futuro e cazzate varie. Andavamo a concerti, facevamo viaggi ed escursioni. E il giovedì sera si andava a ballare. Parco Triumvirato in estate e in inverno all’Art Club, dove ci scatenavamo sulle note di Rise dei PIL.
“I could be wrong, I could be right, I could be black, I could be white
…
Anger is the energy
Anger is the energy
Anger is the energy
Anger is the energy”
Oggi Roberta, l’autrice del pensiero che mi ha ispirato, è docente dell’Università di Bologna e insegna al DAMS. Ma non è mia intenzione dare un taglio autobiografico a questo articolo. Quello che voglio proporre è una riflessione che vada oltre i soliti battibecchi e affronti un tema a me caro, estrapolato dal post Facebook di una persona che stimo.
Il post recitava così:
“Ecco é arrivata da Feltrinelli l’ultima novità nel settore di sociologia!!! Accorriamo”. E nella foto presentava il nuovo libro di Maria Grazia Cucinotta “Vite senza paura, storie di donne che si ribellano alla violenza”.
Posto che l’argomento del testo è serio e che potrebbe anche essere ben scritto, il punto della questione è un altro: perché è stato messo nel reparto Sociologia dagli operatori di Feltrinelli? Basta scrivere un libro a sfondo sociale per essere considerati sociologi?
Una gran bella questione. Su Facebook qualcuno non ne ha capito il senso e son partiti elogi e invettive, accuse di altezzosità, come se il problema fosse che la Cucinotta pubblica saggi o che i dipendenti di Feltrinelli sono incompetenti. La vera questione sollevata è un altra: se nemmeno in una grande libreria sanno cosa si intenda per “libro di sociologia”, chi potrà mai saperlo? Più in generale, quanti sanno – onestamente – cosa sia la sociologia, cosa sia e cosa faccia un sociologo? In effetti, anche io che ho tanto studiato le scienze sociali, amandole senza dimenticarle, faticherei a dare risposte chiare e sintetiche a queste domande.
Quello che noto, in questo momento particolare, è che lo smarrimento personale e l’isolamento individuale sono “fatti sociali”, vanno guardati, compresi e affrontati come questioni generali, coercitive ed esterne all’andamento psico-fisico del singolo, come direbbe uno Émile Durkheim, sociologo francese fondamentale, 1858 – 1917.
Eppure, nonostante la situazione nel 2020 sia questa, con varie nuove dicotomie globali: assembramento vs distanziamento, pensiero positivo vs tampone negativo, negazionisti vs delatori, nei media tradizionali, nei canali social, non c’è un sociologo, non c’è nessuno che affronti i diversi problemi o le diverse soluzioni attraverso una metodologia delle scienze sociali.
Possiamo trovare analisi, consigli e soluzioni di Psicologi, Filosofi, Medici, Scienziati, opinionisti, life coach o addirittura di matematici letterati come Chiara Valerio, che amo e che ci parla di matematica come strumento di comprensione del reale.
Ho preso così la decisione di andare a cercare risposte nei libri, nei manuali, fra le teorie e tecniche sociologiche, ipotizzando (e forse anche un po’ sperando) che magari le origini e i principi che hanno dato vita a questa forma di pensiero possano essere di supporto all’osservazione delle complesse relazioni sociali espresse in un oggi senza paragoni col passato.
Per collegare sapere enciclopedico e contemporaneità, ho deciso di partire dalla definizione di sociologia che ho estrapolato da Wikipedia:
“La sociologia è la scienza sociale che studia i fenomeni della società umana, indagando i loro effetti e le loro cause, in rapporto con l’individuo e il gruppo sociale; un’altra definizione, più restrittiva, definisce la sociologia come lo studio scientifico della società”.
Ora, a fine 2020, guardando l’imprevedibilità dei fenomeni sociali in atto, ma al tempo stesso pretendendo dalla scienza e dalla medicina soluzioni certe e univoche, mi chiedo: “Si può pensare al pensiero sociologico come ad un pensiero scientifico?
Con questa domanda ho riaperto L. A. Coser, “I maestri del pensiero sociologico, Edizioni il Mulino” . Questo manuale è un classico, la cui lettura risulta non datata. Coser ha la capacità di rendere i principi, anche più complessi, accessibili e fluidi, senza mai semplificare troppo.
Seguendo l’ordine temporale il primo ad essere introdotto è Auguste Comte “L’obiettivo che Comte (padre fondatore della sociologia 1798.1857) si propose fu quello di creare una scienza della società, che, costruita sul modello delle scienze naturali, fosse in grado di spiegare il precedente sviluppo dell’umanità e di prevederne il corso futuro”. Positivista francese, il padre del pensiero sociologico chiamò inizialmente la nuova scienza che stava fondando “Fisica Sociale”, poi Sociologia. Il suo obiettivo era di dare principi teorici e metodologia scientifica per arrivare a porre rimedio all’arroganza dell’ambizione degli uomini. Il discorso scientifico, con le sue caratteristiche vincolanti avrebbe dovuto stabilire i limiti alla vana speculazione e alla sfrenata tendenza all’utopia. Comte fu comunque in ritardo sul suo secolo, finendo per aggrapparsi all’idea del metodo scientifico per la descrizione dei comportamenti sociali, mentre imperversava “le mal du siècle” tipico dell’epoca romantica in antitesi al pensiero razionale e positivista.
Ma tornando all’oggi, possiamo dire che il metodo scientifico applicato alle scienze sociali funziona ancora?, L’osservazione, la sperimentazione (che non è fattibile nell’ambito umano, ma si esplica attraverso “lo studio del patologico che diventa strumento privilegiato per la comprensione del normale”) e la comparazione, in particolare quella storico evolutiva, sono gli strumenti per comprendere il qui e ora e esprimere un’ipotesi predittiva per individuare in quale direzione andrà la società prossima ventura?
“Siamo in un tempo in cui anche gli schemi concettuali, i paradigmi sinora prevalenti nello studio delle relazioni sociali sono falliti … esplosione del soggetto come portato dall’umanesimo o del soggetto come pseudo sovrano del distruggere (portato dalla psicanalisi) … ci indicano l’angolo di cielo verso cui volgere l’attenzione“. Achille Ardigò “Crisi di governabilità e mondi vitali”, Nuova universale Cappelli, 1980, seconda ristampa 1982.
Allora mi chiedo: c’è qualche ricercatore di sociologia che sta pensando di scienze sociali in termini divulgativi per darci indicazioni comprensibili, o dobbiamo fare tutto noi su Facebook insieme a Maria Grazia Cucinotta?

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