
Rai Play rende omaggio a François Truffaut mettendo a disposizione gratuitamente su Rai Play 11 (undici) suoi film in versione integrale e restaurata con doppio audio e sottotitoli. Potete guardarli su Effetto Truffaut Noi, nel nostro piccolo, ve li presentiamo a puntate. A poco più di 60 anni dal suo debutto con “I 400 colpi” ancora oggi Truffaut resta uno di quegli autori che sa toccare il cuore con ogni film. Perché Truffaut era veramente l’uomo che amava il cinema e e riusciva a portare sullo schermo tutto il suo amore per la vita. Qui introduciamo “I 400 colpi” e “Tirate sul pianista”.
“Fare un film significa migliorare la vita, sistemarla a modo proprio, significa prolungare i giochi dell’infanzia, costruire un oggetto che è allo stesso tempo un giocattolo inedito e un vaso dove si disporranno, come se si trattasse di un mazzo di fiori, le idee che si hanno in questo momento o in modo permanente. Il nostro film migliore è forse quello in cui riusciamo a esprimere, più o meno volontariamente, sia le nostre idee sulla vita che le nostre idee sul cinema.”
Non staremo qui a raccontarvi chi era Truffaut, ma ci teniamo a presentarvi questo omaggio che la RAI gli attribuisce. Undici film rappresentativi della sua opera, undici film senza tempo, undici film in cui la macchina da presa di Truffaut rinchiude la vita e la rende grande e unica. Come la nostra che li stiamo a guardare.
L’omaggio di Rai Play a Truffaut in 11 film

“I 400 colpi” Les 400 coups, 1959
con Jean-Pierre Léaud, Albert Rémy, Claire Maurier, Patrick Auffay, Robert Beauvais, Guy Decomble
Qui tutto ebbe inizio. La meravigliosa storia di Truffaut, il sodalizio con il suo alter ego cinematografico, l’allora dodicenne Antoine Doinel/Jean Pierre Leaud, forse non nasce tecnicamente la nouvelle vague, ma ci va molto vicino.
Intanto, a chi prima di allora viene in mente di mettere al centro di un film un adolescente che ne fa di cotte e di crude, questo più o meno il senso metaforico del titolo, tradotto pari-pari perdendone il senso in italiano (comunque meglio del demenziale “Non drammatizziamo… è solo questione di corna”)? Si, va bene, a Jean Vigo in “Zero in Condotta” (1933) e allo stesso Truffaut in un cortometraggio di due anni prima (“Les Mistons”, i monelli), ma lì resta un finale giocoso e di felicità.
Ne I 400 colpi invece non c’è finale consolatorio, meno che mai trionfale, e la fuga di Antoine Doinel dal riformatorio in cui era finito per il malinteso e tardivo impulso educativo di un patrigno che non sa educare, per l’abbandono di una madre che non sa amare, per le responsabilità di una scuola che non sa insegnare, non può che finire davanti a quel mare che Antoine brama di vedere almeno una volta nella vita, ma che poi alla fine si rivela ostile. Il film finisce così, con l’inquadratura di un Antoine un po’ perso, un po’ deluso, un po’ arrabbiato, senza sapere che fare, né dove andare.
I 400 colpi è forse il film più importante della storia del cinema, il più bello, il più vero. Girato in un bianco e nero magistrale (che Truffaut abbandonerà solo con gli anni ’70) è l’atto di amore di un adulto per gli adolescenti, fantastica la maturità del rapporto tra i due mistons, in comparazione con un mondo di adulti – la scuola, la famiglia – ignoranti ed egoisti, è un atto di amore per il cinema (“Io glielo dico sempre di stare all’aria aperta, invece va sempre a chiudersi in quei cinema”, dice la madre al poliziotto che lo ha arrestato), per Paris…
Visto per la prima volta in TV quando avevo sì e no 5 anni (perché la RAI, senza la pressione della competizione al ribasso, era veramente una grande impresa culturale), mi fece l’impressione di un film cattivo, su un ragazzo disobbediente e delinquentello; rivisto ormai maggiorenne nella retrospettiva che a fine anni ’80 Vieri Razzini dedicò a Truffaut sempre in TV (ma per avere qualcosa di simile si doveva già virare su RAI3 in terza serata), ho scoperto il film più bello che avessi mai visto, quello che mi ha accompagnato poi per tutti gli anni universitari, tornando a vederlo in Cineteca almeno una volta all’anno, fino al restauro de Il Cinema Ritrovato, nel 2014.
Più o meno da allora, associo quella scena finale all’Alessandro Magno cantato da Vecchioni, un Alessandro che guarda caso tornava bambino davanti al mare: “E mentre si voltava indietro, non aveva niente da vedere; E mentre si guardava avanti, niente da voler sapere; Ma il tempo di tutta una vita, non valeva quel solo momento: Alessandro, così grande fuori, così piccolo dentro”.

“Tirate sul pianista” (Tirez sur le pianiste), 1960
con Charles Aznavour, Marie Dubois, Nicole Berger, Michèle Mercier, Serge Davry, Albert Rémy, Alex Joffe

“Tirate sul pianista” ha compiuto 60 anni ieri (la prima proiezione si tenne a Grenoble il 25 novembre 1960), ma – vi assicuro – proprio non li dimostra. Impastando registro drammatico e sarcastico, lirico e grottesco, Truffaut trae dal romanzo di David Goodis “Sparate sul pianista” (o anche “Non sparate sul pianista”, in originale “Down There”) la storia di un uomo così silenziosamente prigioniero di timidezza e insicurezza da sprecare talento e distruggere relazioni, e tanto da finire per chiudersi in un bozzolo di solitudine perché “quello che hai fatto ieri ti resta dentro anche oggi”. Poi la tranquilla conquistata quotidianità quasi inavvertitamente si inceppa e deraglia, stupidamente o per colpa di persone stupide, e finisce nel “territorio infinito delle conseguenze indesiderate” (D. Pennac). A vederlo ora, questo secondo film di Truffaut, uscito a un anno e mezzo dall’osannato capolavoro d’esordio “I quattrocento colpi”, ancora incanta per ritmo, scrittura serrata, impianto registico coeso (e le trovate come i fotogrammi da cinema muto?) e fa venire in mente atmosfere e personaggi dei Fratelli Coen – le vite disperate e quelle parallele, anche inconsapevoli, gli stupidi pericolosi, la coppia di delinquenti pasticcioni e chiacchieroni (“E come sono questi due? Beh, uno ha il berretto e l’altro ha il cappello, e tutti e due fumano la pipa”), le conversazioni surreali e apparentemente off topic (molte sul desiderio maschile, assunto come incontenibile, ingestibile: qui sì che si vedono le rughe dell’età).

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