

In questi giorni ho letto questo simpatico fumetto “I ventuno vaffanculo di Zeno”, stampato dalla Double Shot, scritto da Niccolò Roy e disegnato da Giulio Ferrara.
Entrambi hanno dedicato il libro ai nonni, e c’è un perché: Zeno è un uomo anziano, un uomo che potrebbe essere il nonno di ognuno di noi.
Il protagonista della storia scopre di essere molto malato e di stare per morire, invece di rassegnarsi, Zeno fa quello che avrebbe dovuto fare prima: si arrabbia, e decide di prendersela con tutti coloro i quali nel corso del tempo gli hanno fatto un torto, anche irrilevante.
Zeno compila la sua bella lista di persone da andare a visitare e si mette in giro per il Paese, andando a consegnare l’unica parola in grado di placarlo: Vaffanculo.
Un vaffanculo generalizzato, un modo per prendere di petto la morte e urlarle in faccia: a fanculo vacci te!
Mentre leggevo, ho pensato davvero: meno male che Zeno ha solo 21 persone da mandare a quel paese… a me non basterebbero.
C’è un ‘vaffa…’ che è più vaffa di tutti però… ed è quello a Delta, la donna sempre amata e mai dimenticata.
Delta non lo ha aspettato alla fine della guerra, chissà perché le donne non aspettano mai, e tranquilla e beata si è rifatta una vita con qualcuno di più facile e di più accessibile.
Le donne sono più pratiche? Sarà così.
Zeno bussa alla sua porta, alla porta di Delta, ma…
Il vero amore dura davvero per sempre? E può prendersi delle pause così lunghe?
Che ci vuole ad amarsi solo per pochi giorni e poi allontanarsi, è così faticoso amare solo un ricordo? La vera fatica è tenere in piedi gli amori nella quotidianità.
I ventuno vaffanculo di Zeno ha una sua romantica profondità, non lo ritengo l’opera migliore letta in questo periodo, i dialoghi sono essenziali, la trama non presenta picchi di originalità, è una storia carina da leggere per distrarsi un po’.
Molto accattivanti risultano i disegni di Ferrara, la scelta delle inquadrature e dell’accostamento dei colori.
È comunque un fumetto fuori dal coro, privo di eroi e di supereroi, parla di buoni sentimenti, di ricordi, di tempo perso, di occasioni mancate e di liberazione.
Negli ultimi anni abbiamo imparato molto di più ad entrare in contatto con la nostra rabbia, se qualcosa non ci sta bene proviamo a dire in maniera contemporanea all’evento: vai a quel paese!
Forse prima, ai tempi di Zeno, c’era più ipocrisia velata da gentilezza ed educazione, come se accettare un torto subìto fosse più nobile.
Zeno impara quasi al limite della vita che se una cosa non ti sta bene è meglio farla notare subito, invece che farla crescere dentro come un cancro profondo.

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