

Chi mi conosce sa quanto io sia amante di BoJack Horseman, se penso al mio uomo ideale penso a BoJack, con tutti i suoi difetti, ma anche con tutti i suoi pregi.
Questa sesta serie è risultata ancora più introspettiva rispetto a tutte le altre, i picchi di esistenzialismo in questi episodi sono estremizzati, i dialoghi serrati, le scene nostalgiche, per chi sta affrontando una fase depressiva, non è il massimo della gioia. Ma proprio per questo diventa interessante e spunto di riflessione.
In un precedente articolo avevo parlato delle passate stagioni, ho atteso con ansia questa serie, il 31 Gennaio saranno on-line gli episodi conclusivi: tutti i nodi verranno al pettine.
Tutte le vite dei protagonisti si sistemeranno?
Creata da Raphael Bob-Waksberg e disegnata dalla fumettista Lisa Hanawalt, BoJack Horseman si rivolge a quegli young adult mai cresciuti e in perenne crisi su quello che faranno o meno della loro vita.
Eterni Peter Pan dibattuti tra quello che è e quello che sarebbe stato, in eterno conflitto con sé e con il mondo.
In questa serie BoJack si disintossica, abbandona tutte le sue abitudini malsane (compresa quella di tingersi i capelli) e affronta tutti i suoi fallimenti.
La serie manca di qualcosa, dà l’idea di essere stata messa on line per prendere tempo, non è il solito medium con cui siamo abituati a confrontarci, è più triste e più maturo.
La sua diffusione è passata quasi in sordina.
Se crescere significa prendere atto di sé e ricostruirsi ne vedremo delle belle nella stagione conclusiva.
BoJack ci fa pensare a come eravamo e a quello che potremmo essere se realmente smettessimo di piangerci addosso, c’è più nichilismo in questa serie tv che negli scritti di Nietzsche.
Resta comunque una delle migliori opere innovative di Netflix per idee e per contenuti.

Perché non lasci qualcosa di scritto?