
“Il senso della fine” è un breve (150 pagine tascabili) romanzo dell’inglese Julian Barnes, uscito nel 2011 e pubblicato in Italia da Einaudi nell’anno successivo. È il diario a posteriori, una selezione di ricordi che l’ormai anziano Tony Webster tira fuori dai cassetti della sua memoria per raccontare a se stesso e quindi a noi la sua vita. Che non è proprio quella che lui si è sempre raccontato. Nell’ottobre scorso è uscito il film tratto dal romanzo. Un esempio di trasposizione riuscita, ma che ribalta il senso del testo originale.
Autore: Julian Barnes (Leicester, UK, 1946)
Lingua origianale: Inglese
Prima pubblicazione: 2011
Prima edizione italiana: 2012
Editore Italiano: Einaudi
150 pagine

Regia: Ritesh Batra
Sceneggiatura: Nick Payne
Paese: Regno Unito
Anno: 2017
Durata: 108 minuti
Interpreti:
Charlotte Rampling: Veronica Ford
Jim Broadbent: Tony Webster
Michelle Dockery: Susine
Emily Mortimer: Sarah Ford
Harriet Walter: Margaret
Il romanzo è diviso in due parti semplicemente “Uno” e “Due”.
Nella prima il protagonista, un ormai anziano Tony Webster, ci racconta gli episodi della sua adolescenza e degli anni dell’università legati a quelli che erano allora i suoi migliori amici e a quella che fu la sua prima vera fidanzata, Veronica. E’ il racconto di una gioventù come tante, nell’Inghilterra degli anni Sessanta con “alcuni ricordi approssimati che il tempo ha deformato in certezze”. E’ la storia della sua vita, o almeno la versione che Tony dà a se stesso e che resiste da anni. Quello che resta dei ricordi sono le impressioni che essi hanno prodotto che si sono sedimentate dentro di lui.
La prima metà del libro prosegue, con aneddoti riguardo piccoli e grandi fatti che hanno segnato la sua gioventù, sensazioni che più o meno tutti abbiamo vissuto. Così è l’abilità nel raccontare dell’esperto Julian Barnes a guidarci verso la seconda parte.
Qui l’arrivo inatteso di una lettera riporta la memoria agli anni passati, ne ribalta i ricordi e il significato. E ribalta il senso di una vita. Non raccontiamo altro per non togliere il piacere della lettura di un testo che prosegue a tratti come un diario malinconico, a tratti come un giallo con colpi di scena inaspettati, nel presente come nel passato, fino ad arrivare “alla fine della vita, no, non della vita in sé, ma di qualcos’altro: alla fine di ogni probabilità che qualcosa in quella vita cambi”.
Il romanzo è breve e parte come un racconto abbastanza convenzionale su una giovinezza nella quale molti possono riconoscersi. Ma è nella seconda metà che rivela il suo spirito profondo e amaro. L’autore si concentra su pochi fatti e pochi personaggi, che sono quelli necessari a dare il senso di una vita e a ribaltare le convinzioni di un’esistenza arrivata al punto in cui a nulla si può più rimediare.
La trasposizione cinematografica parte quasi immediatamente dalla seconda parte per fare tutte le necessarie incursioni nel passato tramite flashback. Rimane fedele a gran parte dei fatti, ma con alcuni inserti non presenti nel testo originale (in particolare dando un peso centrale alla figura della figlia Susie) e con l’eliminazione di alcune situazioni, sembra ribaltarne il significato restituendo serenità e riappacificazione dove nel libro restava un amaro senso di rassegnazione e inadeguatezza.

Da un certo momento in poi, la vita offre varianti penosamente limitate. Quasi tutte le vite, cioé la mia
La scelta di non esagerare con la voce fuori campo lascia spazio agli avvenimenti e alla bravura degli interpreti che ci rendono perfettamente il senso più profondo dei loro personaggi. Gli attori, come accade quasi sempre nel cinema inglese, sono bravissimi, dai protagonisti Jim Broadbent (Tony) e Harriet Walter (l’ex moglie Margaret) a quelli che interpretano i personaggi da giovani. A Charlotte Rampling bastano poche scene di silenzi e sguardi per far girare la storia attorno a sé, proprio come il personaggio di Veronica nel libro.
Se il libro resta più incisivo e sicuramente pessimista con quella sensazione di impossibilità di non sprecare la vita e con il crollo di tutti i castelli di ricordi che avevamo inciso dentro di noi per dare un senso al tutto, il film diventa un dramma che non calca la mano nella retorica dei ricordi e nella malinconia della vecchiaia, ma che con toni da commedia rende la visione scorrevole e avvincente fino alla fine.
In definitiva un libro le cui 150 pagine si leggono tutto di un fiato appena si entra nei ricordi di Tony e un film davvero ben fatto e piacevole da vedere ripensando al passato finché si è ancora in tempo a sistemare qualcosa.

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