
Sfogliando il quotidiano locale, mi sono imbattuta in questa notizia:
“In Friuli Venezia Giulia l’occupazione tiene”. Ho letto il titolo più volte, convinta di aver frainteso il senso, o meglio, convinta che non vi fosse un senso. L’effetto, infatti, è stato sempre lo stesso: smarrimento! A mio parere manca qualcosa, che ne so, un segno di interpunzione, una frase secondaria, un complemento oggetto, una soluzione!
L’occupazione tiene… Beh, mettiamola così: aver scelto di utilizzare il verbo “tenere”, di qualunque cosa si tratti, fa presumere, nell’immaginario collettivo, qualcosa di positivo e suscita immediatamente un’emozione gradevole. Basta dare una rapida occhiata ai sinonimi del termine come, per esempio, “conservare”, ”mantenere”, “detenere”… per rendersi conto che tutti, proprio tutti, sottendono un presupposto importante e, in qualche modo, rassicurante: il fatto di essere in possesso, di avere “un qualcosa” da amministrare, ovvero di tenere, appunto.
Pensate che risultato diverso avrebbe sortito l’articolo, quanto meno il titolo, se anziché scrivere l’occupazione tiene, avessero scritto “l’occupazione lascia”! Lasciare-allontanare-perdere-ABBANDONARE… anche in questo caso, non ha importanza cosa, ma “lasciare”, fa presumere nell’immaginario collettivo, qualcosa di negativo e suscita immediatamente un’emozione sgradevole alla quale, magari, se siamo in un momento di particolare fragilità, si può aggiungere la sindrome da abbandono. E tutto ciò senza aver letto nemmeno una riga dell’articolo!
In questo caso, infatti, la prospettiva sul contenuto del testo, sebbene più “ampia”, non avrebbe considerato la possibilità di “occupare” un posto di lavoro, ma la certezza di “occupare” interi pomeriggi in un lungo percorso di rielaborazione emotiva del significato, del vissuto e dei processi sociali legati alla “perdita” subita!
Ricapitolando: in Friuli Venezia Giulia l’occupazione tiene, è ciò pare sia un fatto positivo. Volendo, però, spingersi fra le righe del breve trafiletto, dove imperano il dubbio e l’ambiguità, l’abilità di un lettore sta proprio nel non lasciarsi suggestionare in maniera sfavorevole da parole come “fatturato stabile”, ”investimenti in calo”, “incertezza su export e produzione”… altrimenti, dopo la sindrome da abbandono, potrebbe essere colto da quel cauto pessimismo che oggi va tanto di moda, e tormentato da innumerevoli dilemmi esistenziali per entrare in un pericoloso circolo vizioso dal quale sarebbe davvero difficile uscire.
Ma “l’incertezza” è un cardine della condizione umana, dobbiamo farcene una ragione, di conseguenza… le domande da porsi, non sono da dove veniamo, chi siamo e dove andiamo, bensì, in questo caso specifico, l’economia si riprenderà? Lo spread salirà ancora? Piazza affari aprirà in calo? Ma soprattutto, che tempo farà domani?! Tanto per non perdere il contatto con la reale realtà delle cose con la quale dobbiamo confrontarci, inevitabilmente, ogni sacrosanto giorno!

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