
Tutta la vita è un viaggio, che finisce, appunto con l’ultimo viaggio. Tanti film hanno raccontato un funerale, perché un funerale racconta sempre un po’ il senso di una vita che è poi il senso di tutte le vite. E il cinema è speciale per fare questo. E ci fa piangere, o ridere, o abbatterci o voltare pagina. Noi ci accontentiamo, per ora, di vederci un bel film. (prima parte: i funerali nei film del Novecento)
Altri funerali:
Manchester by the Sea
Gran Torino
Quattro Matrimoni e un funerale
Harold and Maude
I funerali nei film del nostro millennio
E ora andiamo a cominciare. Col botto, ovviamente.
“Il settimo sigillo” (Det sjunde inseglet) di Ingmar Bergman, Svezia, 1957
Con Max von Sydow, Gunnar Björnstrand, Gunnel Lindblom, Bengt Ekerot, Bibi Andersson
Il tema: tutta la vita è un ultimo viaggio, con la morte al proprio fianco
Consigliato: a chi vuole prendersi una pausa di riflessione, a chi non ha paura di pensarci su
Sconsigliato: a chi si crogiola nella propria ignoranza, ignorando che deve morire
“Ed io, Antonius Block, sto giocando a scacchi con la morte.”
“Il settimo sigillo” è considerato a ragione uno dei più importanti film mai realizzati. Come tutti i film di Bergman, guardarlo non è certo una passeggiata. Qui si tratta addirittura di una passeggiata con la Morte: riflessioni filosofiche, simboli da cogliere, metafore… Ma qui la forza visiva del maestro svedese è al massimo e il senso di morte e disperazione che pervade il film fin dall’inizio trova la pace in un riscatto che tutti noi vorremmo trovare. Perché in fondo si tratta di un film ottimista che prova a dare una risposta a quella ricerca del senso della vita che è stata un po’ tutto il viaggio del cinema di Bergman.
Il settimo sigillo in fondo ci dice che tutta la vita è un viaggio con la minaccia della morte che ci segue da vicino. Un viaggio tra pestilenze, peccati, flagellazioni, soprusi, sconfitte, ma un viaggio che può avere il riscatto in una famiglia di saltimbanchi, nell’amore, nel rispetto in un banchetto con le persone che ci vogliono bene. Se si riconosce questo si può anche perdere la partita e abbandonarsi serenamente a una danza macabra. Fate lo sforzo di guardare questo film, non sarà facile, ma vi farà bene.
Da vedere per riscattare tutte le cose sciatte e superficiali che guardiamo oggi
“La sposa in nero, di François Truffaut, Francia, 1968
Con Jeanne Moreau, Claude Rich, Jean-Claude Brialy, Michel Bouquet, Michael Lonsdale
Il tema: Sono già figa, non posso anche essere simpatica.
Genere: drammatico, thriller
Consigliato a chi ama il cinema. Punto.
Sconsigliato a chi dopo, Kill Bill, non ammette la vendetta senza una bella dose di splatter e di viuleeenza
“Non so che dire…”. “Bene, allora non dica niente”.
Una strana e bella ragazza (una Jeanne Moreau in gran forma) avvicina in sequenza quattro sconosciuti (un libertino, un gentiluomo, un pittore, un politico), entra nelle loro vite giusto il tempo di ucciderli e di andarsene. Tutto finito? No, perché al funerale della sua ultima vittima viene scoperta ed arrestata. Così potrà completare la sua vendetta. Uno dei più grandi registi di tutti i tempi (forse il più grande, anche se è sempre un peccato parlare bene di un franzoso) si misura con il noir e quello che ne esce, guarda un po’, è un capolavoro di cinematografia, necrofilia, sensualità, passione, algido distacco. Tutto in neanche due ore di puro godimento. Nota a margine: dallo stesso romanzo (“Appuntamento in nero” di Irish), 10 anni dopo la Tv Francese trarrà un ottimo sceneggiato (oggi si direbbe “miniserie”), dove però è il promesso sposo a vendicarsi dell’assassinio della fidanzata Julie (stesso nome della Moreau nel film); un po’ come Gomorra e Romanzo Criminale, ma con 30-40 anni di anticipo.
Da vedere con il viso schermata da un’elegantissima veletta nera
#truffeautforever; #moreauforever; #sceneggiatiquantocimancate
“Amici miei”, di Mario Monicelli, Italia, 1975.
Con Ugo Tognazz, Gastone Moschin, Philippe Noiret, Duilio Del Prete, Adolfo Celi, Bernard Blier, Milena Vukotic
Il tema: zingari si nasce
Genere: commedia
Consigliato agli amanti della Commedia all’Italiana (quella vera, no quella pecoreccia)
Sconsigliato a chi il toscanaccio simpatico non lo regge proprio
“Che cosa è il genio? È fantasia, intuizione, decisione… e rapidità di esecuzione”
Devo ammettere che la cosa più complicata è stata selezionare la frase qui sopra. Perché Amici Miei è un’orgia di termini e frasi entrate (giustamente) nel lessico ancor prima che nell’immaginario nazionale: la Supercazzola, il pignoramento, l’Antani, il Cippa-Lippa, “Dico solo due parole: ‘vice sindaco’”. La trama (che ve la dico a fare?): il Necchi, il Perozzi, il Melandri ed il Conte Mascetti, quattro amici di lungo corso e di mezz’età, a cui si aggiunge il Primario Prof. Dott. Sassaroli, non perdono occasione per scorazzare per Firenze e la Toscana ad organizzare scherzi (le “zingarate”, appunto), per lo più grevi. Emerge un ritratto agrodolce, fatto di gioia, ma anche di noia, con il finale comico-amaro del funerale del Perozzi (ché se a 40 e più anni dalla uscita ancora non lo avete visto, vi meritate, lo spoiler). Con un sequel che, al netto della sostituzione di Duilio del Prete con Renzo Montagnani, è praticamente all’altezza dell’originale e con finale egualmente amar).
Da vedere con le lacrime agli occhi (per le risate o per la commozione, decidete voi)
#scappellamentoadestra; #sottocoppedipeltro; #hovistolamadonna
“Il grande freddo” (The Big Chill) di Lawrence Kasdan, Stati Uniti, 1983.
Con Kevin Kline, Glenn Close, William Hurt, Tom Berenger, Jeff Goldblum, Mary Kay Place, JoBeth Williams, Meg Tilly
Il tema: evviva la buonanima che ci ha fatto reincontrare!
Consigliato: trentacinquenni nostalgici dei begli anni dell’Università
Sconsigliato: trentacinquenni nostalgici dei begli anni dell’Università
“– Non ci sarà mai così tanta gente al mio funerale. – Oh, Karen… io verrò! E porterò un fidanzato.”
Sulle note di Marvin Gaye, sette compagni di college si ritrovano al funerale del loro amico Alex, che li ha salutati con tre bei tagli verticali sui polsi. Veleggiano verso i quarant’anni e si sforzano di non voltarsi a guardare – consistente rischio “statua di sale” – la propria giovinezza trascinata via da responsabilità, lavoro, figli (presenti o mancanti), delusioni e fallimenti, vale a dire i festosi doni della vita adulta. Addolorati per la perdita di Alex, ma felici di rivedersi, decidono di restare insieme per il week-end: una rimpatriata col groppo in gola e il senso di colpa verso l’amico morto, amara e nostalgica. Fatti i conti col passato, tutti (o quasi) tornano a casa, e forse non è cambiato proprio niente. Classicone anni Ottanta, con una ferrea sceneggiatura traccia lo scenario di una resa dei conti col passato a metà tra il ritorno a casa per Natale o il Ringraziamento e la reunion della scuola(veri topos a stelle e strisce): “chi sei diventato? quanti soldi hai fatto? qualcuno ti si è incollato per la vita?” E soprattutto: “no, non saremo mai più felici come allora” e “no, nessuno là fuori nel mondo ci capirà mai quanto ci capiamo tra di noi”. Colonna sonora spettacolare – e chi non vorrebbe avviarsi alla vita eterna (o all’incenerimento, la noia è la medesima) sulle note di “You can’t always get what you want?” E sì, il cadavere è Kevin Costner (non fu scritturato soltanto per farsi vestire stando immobile, compariva in scene che nel montaggio finale furono tagliate, poi il regista Kasdan lo compensò con Silverado).
Da vedere stringendo al cuore le foto di classe, quelle in cui tutti sono venuti bene tranne voi.
“Fratelli” (The Funeral) di Abel Ferrara, Stati Uniti, 1996. Con Christopher Walken, Chris Penn, Vincent Gallo, Annabella Sciorra, Benicio Del Toro, Isabella Rossellini
Il tema: malavita di famiglia
Consigliato: componenti di famiglie perfette, devote di Sant’Agnese
Sconsigliato: maschi con fratelli problematici
“Sei arrivato. Quando la nave dove stai entra in porto, sei arrivato.”
Un funerale di una volta, uno di quelli in cui il morto veniva tenuto in casa per giorni, quelli in cui si vegliava, si piangeva, si snocciolavano rosari, si accoglievano i parenti in visita tra le lacrime, mentre si zittivano i bambini, inconsapevoli e affascinati dall’atmosfera strana, dalle persiane socchiuse in pieno giorno. Molti “ti ricordi?” venivano pronunciati, molto caffè veniva fatto e bevuto, nel servizio buono. La famiglia e gli amici ad abbracciare il morto, a tenerlo stretto qualche altra ora, solo per sé, non più per il mondo. Come la famiglia Tempio – anni Trenta, New York – tiene abbracciato Johnny (Vincent Gallo), morto ammazzato a soli ventidue anni. E con il giovane immobile corpo di Johnny sullo sfondo, nelle conversazioni in penombra e nei ricordi dei suoi fratelli Ray (Christopher Walken) e Chez (Chris Penn) si ricostruisce la loro vita di delinquenti, fin dagli agghiaccianti insegnamenti del padre. Ray medita di vendicare Johnny, mentre Chez si smarrisce tra le proprie ossessioni, fino alle estreme conseguenze – tra donne esauste (straordinarie le mogli Annabella Sciorra e Isabella Rossellini), inascoltate e votate a sante ammonitrici e distanti. Inquietante, violento, intriso di immagini sacre e Male supremo; sfacciatamente disperato, come sa essere Abel Ferrara al suo meglio.
Da vedere in famiglia, sorbendo il caffè nelle chicchere del servizio buono, quello di nonna.
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