
Quando ho letto per la prima volta le poesie di Diego Caiazzo non lo conoscevo né avevo mai sentito parlare di lui, nonostante i suoi numerosi contributi presenti sulla rete: sono stati i suoi versi ad aprire il sipario sulla quella che adesso, posso ben dirlo, è diventata la nostra attuale amicizia. Le parole, i versi, specie se autentici, privi di isterismi ed estranei a goffi congegni di maniera, possono ancora molto. La sua prima silloge poetica, edita da Lupi editore lo scorso 27 febbraio, si intitola “La Via Lattea”.
Per una sensazione lontana
quella donna mi piace
quietamente mi preparo
al passaggio dell’ennesima
cometa sistemo
il telescopio consulto
le mappe del cielo
mi espongo alla luce
fossile delle stelle
e dopo aver formato
il numero di telefono
ascolto nella cornetta
il rumore di fondo
dell’universo.
1) Come nasce “La Via Lattea”?
Nasce proprio come nascono le stelle, che sono un agglomerato di materia incandescente tenuta insieme dalla forza di gravità. In questo caso la materia è rappresentata dal complesso delle mie esperienze e delle mie letture, inserite nel flusso degli avvenimenti storici e la forza di gravità è la scrittura. Ho inteso scrivere delle cose che ho amato e che hanno suscitato il mio interesse negli anni e ho scelto di farlo in poesia perché è un linguaggio che mi è familiare fin da bambino. Ho cercato di uscire dagli schemi lirici cui ci ha abituato la tradizione adottando uno stile misto, prosastico-lirico in alcuni casi, che posso definire “poesia narrativa”. Se l’esperimento sia riuscito lo potranno dire i lettori.
2) L’amore, i sentimenti, la morte, gli scacchi: la tua poesia parla di te. Credi che la letteratura debba soltanto intrattenere o possa fare anche altro?
La letteratura d’intrattenimento ha una sua ragion d’essere, naturalmente, ma credo che la grande letteratura sia ben altro. Se leggo un romanzo di Primo Levi, ad esempio, sono portato a riflettere su temi enormi e allo stesso tempo apparentemente semplici quali il male assoluto e su come Dio abbia potuto permetterlo. Una volta mi dicesti che leggere Caproni ti aveva cambiato la vita. Non esito a crederci. Leggere, fin da bambino, mi ha indirizzato verso alcuni interessi e di questo devo ringraziare i miei genitori che mi regalavano libri adatti via via alla mia età. Se oggi sono quello che sono, lo devo a loro.
3) Quanto sono importanti per chi scrive, gli intervalli temporali tra un’opera e l’altra? Quanto conta il silenzio per uno scrittore?
Credo che la risposta vari da scrittore a scrittore. Io posso parlare per me: attraverso periodi di secca in cui mi pare di non aver nulla da dire, poi magari esplodo e non riesco a smettere di scrivere. Io l’ho chiamato “fermo biologico” in una poesia de “La via lattea”, serve a “ripopolare le acque del cervello”. Ma sull’argomento c’è una poesia di Valerio Magrelli molto bella:
Preferisco venire dal silenzio
per parlare. Preparare la parola
con cura, perché arrivi alla sua sponda
scivolando sommessa come una barca,
mentre la scia del pensiero
ne disegna la curva.
La scrittura è una morte serena:
il mondo diventato luminoso si allarga
e brucia per sempre un suo angolo.
4) Si dice spesso che nel nostro paese si legge poco, altri dicono che se si legge male è meglio non leggere. Tu cosa ne pensi?
Leggere non è un valore in sé, dipende sempre da cosa si legge. Se le mie letture si limitano alle riviste di gossip certo non ne traggo un granché. A quel punto non trovo molte differenze tra il leggere e il non leggere. La questione è sempre nell’educazione che si è ricevuta e se da piccoli si è stati instradati verso le buone letture. Io, ad esempio, a parte i libri di cui parlavo prima (Verne, Scott, Poe,), leggevo Topolino in cui trovavo a volte un linguaggio forbito, di non immediata comprensione. Ricordo “Ti elargisco un centone” di Paperone a Paperino, parole come “sesquipedale”: insomma mi ci voleva il dizionario, così scoprivo e imparavo sempre cose nuove.
5) Cosa ci sarà dopo La Via Lattea?
Sto preparando una nuova raccolta, dal titolo Il Sistema Solare (tanto per rimanere in tema), in cui lo stile e i temi saranno leggermente diversi. Ho anche in cantiere una raccolta di racconti. Ma ora è presto per parlarne.
6) Il poeta premio Nobel Derek Walcott ha scritto : “L’ideale perpetuo è lo stupore”. Sei d’accordo?
D’accordissimo. Lo stupore, la sorpresa devono accompagnare sempre il lettore, sia di poesia che di prosa, altrimenti si cade nella noia che (diceva Dino Buzzati) è la regola quasi sovrana dei romanzi. Se Ungaretti paragona la sua vita a “una corolla di tenebre” nella poesia “I fiumi” crea un accostamento stupendo, in senso letterale, cioè fa sì che il lettore si stupisca di quell’immagine straniante: la corolla richiama i fiori, come immagine, cioè colori, vita, allegria e non certo le tenebre, la notte, la morte.

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