
La psicologia ci insegna che non si può non comunicare e che quello che noi vogliamo dire passa attraverso molti canali.
Non solo parole, dunque, ma movimenti, sospiri, pause, sguardi e molto altro ancora. Così, il linguaggio del corpo sembra essere ben più incisivo e sincero di quanto possano esserlo i nostri discorsi.
Eppure spesso lo dimentichiamo, non siamo abbastanza attenti, nessuno ci ha insegnato a decodificare il linguaggio non verbale. Esso ci impatta in silenzio, ci penetra e ci invade di soppiatto e senza pietà toccandoci in quelle aree del nostro essere che sono più fragili, più aperte e più sensibili colonizzando le nostre emozioni. Molto sfugge ai più, un malessere o un senso di inquietudine spesso viene attribuito ad altre cause. Ho mangiato troppo. Ho preso freddo. Sono stanco. Non mi sento bene ma non so perché. E’ raro che qualcuno si chieda cosa ho visto? cosa mi ha colpito? perché ho paura? Molte risposte potrebbero essere rivelate da un’attenta analisi di quello che ci è appena capitato.
Ma noi, a dispetto di tutto ciò, siamo stati educati a dare maggior valore alle parole, abbiamo studiato la grammatica, la sintassi, l’etimologia. A scuola ci hanno insegnato a comprenderne il significato, a valutare i termini, le frasi e i discorsi tuttavia siamo rimasti analfabeti per quel che riguarda l’impatto emotivo delle parole. Nessuno ci ha spiegato che le parole sono gli strumenti più grossolani della comunicazione e che, in quanto tali, come ogni strumento a nostra disposizione, possono essere usate bene o male. Dipende.
Un coltello è uno strumento. Non è un bene né un male. E’ solo un oggetto che può esserci utile. Tutto dipenderà dall’uso che ne faremo. Possiamo affettare le verdure per farne un minestrone o possiamo uccidere qualcuno.
Ecco. Lo stesso vale per le parole. Si, può suonare un po’ forte, lo so, ma le parole possono uccidere. E’ bene prenderlo in considerazione.
E dovremmo anche capire che una parola detta in un determinato contesto potrebbe non essere adeguata in un altro. Quella che viene compresa da una persona potrebbe avere un impatto completamente diverso con un’altra. Che le situazioni sono tante e gli individui tutti unici e irripetibili, ognuno con la propria storia alle spalle, la propria sensibilità, il proprio carico di emozioni, le paure, le difese, i bisogni, le speranze e così via …
Dunque dovremmo imparare ad usarle bene, le parole. A non abusarne. A scegliere con attenzione i termini che danno vita ai dialoghi della nostra quotidianità. Perchè su questi saranno intessute le nostre relazioni. E la loro qualità. E una buona qualità delle relazioni si traduce in una buona qualità della vita.
Invece siamo terribilmente egocentrici, diciamo ma non ascoltiamo, pretendiamo di essere capiti ma siamo noi i primi a non saper accogliere, ci rammarichiamo quando veniamo fraintesi, ci risentiamo facilmente ed altrettanto facilmente offendiamo. Colpiamo. Squarciamo. Bruciamo.
Salvo poi serbare rancore, alimentare la rabbia, covar vendetta, sbattere fuori dalla nostra vita chi riteniamo ci abbia mancato di rispetto.
Non siamo abituati a chiederci “ma dove andrà a finire questo mio discorso?”, “che parte di lei/lui potrebbe ferire questa mia parola?”, “qual’è il mio obiettivo?”, “vorrei dirle/gli questo ma ora no, è meglio di no”…
Siamo abituati a non filtrare nulla. Quello che ci viene in mente lo sputiamo fuori senza nessuna inibizione, senza prima una riflessione, un pensiero, una sorta di sana manipolazione del termine per renderlo più preciso, più corretto, più funzionale a quella che sarà la risposta. Perchè, non dimentichiamolo mai, la risposta c’è sempre. Anche se non esplicitata. Anche se travestita da silenzio, da impotenza, da disorientamento, da dolore, da indifferenza. E così costruiamo i muri. E spesso, quel che è peggio, purtroppo, pensiamo di stare dalla parte giusta.
Ogni parola ha un peso, un valore, un suono e, a volte, persino un odore.
Il dialogo sano e funzionale è fatto di parole scelte con cura e nasce da una sensibilità che va implementata nel tempo con impegno e buona volontà perché, si sa, è facile sbagliare, cedere all’emotività, cadere in qualche trappola. La capacità di dare il giusto peso alle parole che pronunciamo, si basa su una lunga sequenza di esperienze, di risposte, di conseguenze provocate, subite, patite. Tutti abbiamo detto qualcosa di troppo. O di troppo poco. Ma dobbiamo metterci la volontà per imparare, per cambiare, per scardinare degli schemi di risposta ben consolidati, e anche quelli di ascolto, per saper scegliere parole nuove, pulite, ricche e precise.
I risultati si faranno vedere assai presto e ne sarete stupiti! Non è difficile, basta iniziare.
Ora alleniamoci un po’. Semplicemente cominciando a far attenzione a quello che diciamo, a ciò che provochiamo, alle risposte che riceviamo, al nostro umore e a quello di chi ci sta vicino. Sforziamoci di cambiare qualcosa. E, se non siamo sicuri se stiamo facendo la mossa giusta, se non sappiamo se/come dirla, una certa cosa, contiamo fino a dieci prima di aprir la bocca. O scegliamo di rimanere in silenzio. Il silenzio aiuta molto a schiarirsi le idee! E anche questo fa parte dell’allenamento!
Buon lavoro!

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