

Qualcosa lo stava per raggiungere, ma non riusciva a capire esattamente che cosa fosse. Forse una zattera, forse una barca, o forse, più semplicemente era il miraggio di qualcosa che avrebbe potuto salvarlo. Ma lui, voleva essere salvato?
Era così stanco che faticava a tenere gli occhi aperti. Nuotare era fuori discussione, muovere un arto impossibile, cercare aiuto anche. Attorno c’era solo acqua. Sarebbe morto di inedia. Tanto, ormai, che senso aveva esistere? Era anziano e malato con un’aspettativa di vita breve, in ogni caso. La notte precedente aveva vissuto l’incubo peggiore della sua vita, perdendo quanto aveva di più caro: famiglia, casa e illusioni. D’improvviso si era trovato solo al mondo. Stava immobile su ciò che fino a ieri era la sua finestra preferita -quella che dava sul mare- ora, solo macerie. Coricato su un fianco, ansimante e con lo sguardo perso fra le onde del mare. Tutt’attorno una distesa infinita d’acqua. Fino ad allora non aveva mai avuto paura del mare. Tutti in famiglia, compreso lui, sapevano nuotare, ma non in apnea, questo era il punto.
Quella notte, in poche ore era caduta la quantità d’acqua che normalmente cade in un intero mese primaverile. Erano bastati alcuni istanti perché la casa venisse completamente allagata. Colti di sorpresa erano morti tutti, tranne lui. Continuare a vivere era faticoso, oltre che ingiusto, ma lo capiva solo adesso. Se c’era qualcuno che doveva morire in famiglia, quello era lui. Egoista, arido e opportunista come il peggiore degli esseri umani. Invece era sopravvissuto. Difficile convivere con un tale senso di colpa, seppur tardivo. Si dice che le cose difficili capitano a chi è in grado di affrontarle. Ciò non gli recava conforto. Detestava i luoghi comuni e i diversivi per rendere accettabile la realtà. Forse, invece, lui era un prescelto.
Magari Dio l’aveva salvato per affidargli una missione speciale oppure per offrirgli ancora una chance di portare a termine ciò che aveva tentato di fare, invano, più volte. Questa ipotesi lo stuzzicava, ma non credeva in Dio. Morire era complicato, almeno per lui, scampato a tre suicidi e a quattro alluvioni. Tuttavia, perché metterlo in salvo su un relitto in mezzo al mare, anziché sulla terraferma? Mentre faceva queste riflessioni cullato dalle onde del mare, quello strano oggetto continuava ad avvicinarsi e la sua fantasia -indebolita dalla carenza di cibo e acqua- proponeva spezzoni di un film drammatico dal finale straziante. Allo strazio lui c’era abituato.
Fin da piccolo aveva sofferto di sindrome ansioso depressiva. L’infanzia difficile, fra fame e miseria, era ancora una ferita aperta. Sempre in lotta per uscire dalla palude delle difficoltà quotidiane e sempre nel rispetto del principio “mors tua vita mea”. Così facendo era diventato cinico e spietato. Solo la malattia gli dava una parvenza di umanità. Quando veniva colto da una crisi di coscienza, infatti, realizzava quanto fosse gretto e meschino, allora tentava il suicidio. Mai una gioia, nemmeno in quei casi. Un fallimento dietro l’altro, almeno fino a quella notte. La notte dell’ennesima alluvione. Ora aveva un’altra opportunità, forse la migliore che gli fosse mai capitata, forse l’ultima. Quando gli fu chiaro che cosa fosse quell’oggetto che si stava avvicinando tra le onde, gli fu chiaro anche il fatto che Dio esistesse davvero. Chi altri sarebbe stato così indulgente? L’aveva salvato perché potesse suicidarsi con esito positivo! Quanta fiducia, era commosso, non poteva deluderlo. Il cielo prometteva bene. Fitte nuvole accorrevano premurose, gravide di pioggia. Era in arrivo un altro intenso temporale. Quando la cassetta di polistirolo fu a portata di zampa, fece un balzo e si lasciò cadere all’interno. Sarebbe morto come tutti gli altri, annegato.
“Tanto”, rifletté “sorcio più, sorcio meno, l’ecosistema resta in equilibrio e poi, vuoi scommettere… nessuno se ne accorgerà!”

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