
Dal 25 marzo al 24 luglio in esposizione a Palazzo Fava a Bologna le opere di uno dei più noti artisti americani del XX secolo.
Quando qualche anno fa mi ritrovai nel litorale di Cape Cod, nelle coste più selvagge del Massachusetts , mi guardai intorno vedendo qualcosa di familiare, vedevo quell’America che Edward Hopper mi aveva raccontato con le sue opere, quelle case col porticato in legno e la sedia a dondolo, quel profumo di arbusti e di salmastro, un faro abbarbicato su un promontorio roccioso, case che sprigionano un silenzio intrigante e malinconico. E poco dopo, sprofondando per caso nella sua storia lessi che nella Stessa Cape Cod, aveva una casa e produsse lì gran parte delle sue opere. Coincidenze? No, forse solo la sua capacità suggestiva di raccontarci un’America come nessuno l’aveva raccontata prima.
Dal 25 marzo, fino a fine luglio, a Palazzo Fava – Palazzo delle esposizioni di Bologna, sarà possibile ammirare la mostra Hedward Hopper : oltre 60 delle sue opere più famose provenienti dal Whitney Museum of American Art di New York. La mostra comprende oli, acquerelli, carboncini e gessetti e cerca di dare corpo all’intero arco temporale della produzione di Edward Hopper: paesaggi e scorci cittadini parigini degli anni ‘50 e ‘60, i celebri capolavori South Carolina Morning (1955), Second Story Sunlight (1960), New York Interior (1921), Le Bistro or The Wine Shop (1909), Summer Interior (1909), interessantissimi studi (come lo studio per Girlie Show del 1941) .
L’esposizione è curata da Barbara Haskell – curatrice di dipinti e sculture del Whitney Museum of American Art – in collaborazione con Luca Beatrice. Il Whitney Museum ha ospitato varie mostre dell’artista, dalla prima nel 1920 al Whitney Studio Club a quelle memorabili del 1960, 1964 e 1980. Inoltre dal 1968, grazie al lascito della vedova Josephine, il Museo ospita tutta l’eredità dell’artista: oltre 3.000 opere tra dipinti, disegni e incisioni.
Ben suddivisa in sei sezioni, la mostra segue un ordine tematico e cronologico che permette di ripercorre interamente la produzione dell’artista, dalla formazione accademica agli anni in cui studiava a Parigi, fino al periodo “classico” , e più noto, degli anni ‘30, ‘40 e ‘50, per arrivare alle iconiche e intense immagini degli ultimi anni.
Nato nel 1882 a Nyack – una piccola cittadina nello Stato di New York – Hopper studia per un breve periodo illustrazione e poi pittura alla New York School of Art con i leggendari maestri William Merritt Chase e Robert Henri. Si reca in Europa tre volte (dal 1906 al 1907, nel 1909 e nel 1910) e soprattutto le esperienze parigine lasciano in lui un segno indelebile, alimentando quel sentimento francofilo che non lo avrebbe mai abbandonato, anche dopo essersi stabilito definitivamente a New York, dal 1913.
Visse la città di Parigi nel senso più libero, senza iscriversi a nessuna accademia, come spesso facevano i suoi colleghi artisti nel pieno del loro Grand Tour, Hopper prediligeva frequentare locali, mostre, caffè, vivere la città all’aperto, catturare attimi e sguardi.
Durante il suo terzo e ultimo viaggio all’estero, a Parigi e in Spagna nel 1910, Hopper perfezionò il suo particolare e ricercato gioco di luci e ombre, la descrizione di interni, imparata da Degas, e il tema centrale della solitudine e dell’attesa. Mentre proprio in quegli anni in Europa prendevano piede il cubismo e l’astrattismo (il suo soggiorno a Parigi del 1910 coincide con una delle prime mostre del periodo cubista di Pablo Picasso), Hopper veniva attratto più dai lavori degli artisti della generazione precedente quali Manet, Pissarro, Monet, Sisley, Courbet, Daumier, Toulouse-Lautrec e dal più antico Goya.
I primi quadri del periodo parigino erano di piccole dimensioni, avevano colori cupi e prediligevano spazi angusti: cortili, sottoponti, scale, stradine.
Successivamente la tavolozza divenne più lieve, le tele più grandi. Ritornato in patria nel 1913 sviluppa queste tematiche, dando origine ad una serie di quadri che non fanno mistero della profonda influenza parigina. Nel 1914 nasce in questo modo, insieme a tanti altri, Soir Bleu, presente alla mostra, che rappresenta una vera perla di contemporaneità.
Un taglio orizzontale, un clown, una coppia ben vestita di una certa età, una prostituta, sono tutti personaggi proveniente da mondi completamente diversi, ciascuno assorto nel proprio mondo privato ma che coesistono in un ambiente estremamente equilibrato. Il palo sulla destra è un tipico richiamo a Degas e le lanterne riportano all’atmosfera calda e rilassata dei bistrot parigini. Un melting pot di anime assorte, perse.
Il dipinto non fu accolto bene dalla critica che lo giudicò un’ambiziosa fantasia e rimase per molto tempo una tela arrotolata nel suo studio, riscoperta solo dopo la sua morte. Gli strascichi europei di Hopper non erano ben visti dall’America conformista di inizio secolo che non vedeva di buon occhio i flussi migratori provenienti dall’Europa, che per molti portavano malcostume e degrado. Forse proprio a causa di tali giudizi negativi Hopper, da questo momento, depura la propria pittura da influenze straniere e intraprende la propria ricerca di un’arte prettamente americana.
Gli scenari privilegiati di Hopper diventano quindi quelli della città di New York. In controtendenza però rispetto ai suoi contemporanei, non dipinge la città dei ruggenti Anni Venti, sfavillante di colori ed edifici Art Déco, trasformata dallo sviluppo tecnologico, ma quella degli edifici la mattina presto , delle strade deserte, di scorci inconsueti e apparentemente privi di un qualcosa di artistico, con nessuna o poche persone in genere sole, prive di espressione, “spiate” da una finestra mentre sono nelle loro case , negli uffici di sera, sole in una stanza d’albergo , riprese in un momento irreale, di attesa, senza tempo.
Malinconia, sguardi assenti, personaggi congelati in un momento di vita ordinario, non c’è dialogo tra essi e l’ambiente circostante, ma un senso di indefinito e spesso di stasi e tristezza. I colori sono così vividi ( come le incredibili opere presenti in mostra Cape Cod Sunset, Second Story Sunlight ) ma non esprimono gioia ma inquietudine e dubbio.
Di Hopper è stato detto che sapeva “dipingere il silenzio”, e in effetti egli è stato uno dei primi artisti americani a dipingere l’esperienza di solitudine tipica della provincia americana. E’ diventato quindi un potente portavoce dell’ immaginario occidentale, capace di influenzare il cinema, la fotografia, la letteratura e la cultura popolare con le sue immagini, che sono trattati di osservazione sociologica della vita urbana occidentale.
Hopper ha saputo dipingere la tragica quotidianità degli uomini e delle donne del XX secolo, arrivando intatto fino a noi, che riusciamo a sentire la forza evocativa e la sconcertante attualità delle sue opere.

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