
Kobayashi è una studentessa… No, no, uno studente (più o meno) delle scuole medie, annoiato/a dalla routine quotidiana. La sua vita prende una svolta imprevista quando viene coinvolto/a nel caso dell’omicidio di un suo professore: qui la sua strada incrocerà quella del detective liceale Shinichi Kudo Kogoro Akechi, a cui s’affiancherà, insieme al compagno di classe Hashiba, nella risoluzione di diversi e macabri casi. Alcuni di questi risulteranno collegati al misterioso e famoso assassino Venti Facce, il quale cela la propria identità dietro la maschera di un teschio che sembra collegato ad un traumatico episodio del passato di Akechi…

Ranpo Kitan Game of Laplace
Serie TV- 2015
Paese: Giappone
Genere: Scolastico, Mistero, Poliziesco, Giallo, Thriller
Soggetto ispirato alle opere del giallista giapponese Ranpo Edogawa
Durata: 11 episodi
Consigliato a: genderfluid, amanti dell’orrido, chi sa apprezzare animazioni particolari
Sconsigliato a: chi si aspetta un vero giallo, aspiranti detective
Liberamente (MOLTO liberamente) ispirato alle opere del famoso giallista giapponese Ranpo Edogawa (di cui l’anime celebra i 50 anni dalla morte), “Ranpo Kitan: Game of Laplace” si presenta subito come una serie dai toni gratuitamente macabri, con una nonchalance nel mostrare dettagli cruenti e grandguignoleschi tale dallo svenarli del loro valore inquietante e orrorifico. In parole povere, un cadavere brutalmente decapitato qui suscita nello spettatore la stessa indifferenza nel vedere un vaso rotto.
La parte investigativa, che, si suppone, debba essere la forza della serie, essendo tratta da romanzi polizieschi, viene ampiamente sminuita in favore di una maggiore spettacolarizzazione della scena. I casi, le indagini e i sospettati sono abbozzati, in virtù di una trama orizzontale che, si, può anche risultare piacevole, ma non abbastanza dal giustificare la rozzezza del tutto. Altro punto che fa affondare lo show è l’assurdità delle soluzioni dei casi. Questi si presentano sin dall’inizio con un certo estro visivo e gusto macabro, il che rende di per sé difficile una soluzione “normale”, quasi impossibile nella realtà.
Ma in “Ranpo Kitan” questa rasenta costantemente l’assurdo. “Ma dai, è ovvio, è un cartone animato” diranno molti; “Infatti, è una cosa da giappo-minchia” faranno coro altri. Eppure questo non è che un pregiudizio infondato. Infatti vi sono altre serie anime (anche investigative, come “Detective Conan”) che, se pur con un po’ di fantasia, s’attengono il più possibile alla verità. Qui semplicemente gli elementi fantasiosi e lugubri prevalgono su quelli investigativi. In definitiva “Ranpo Kitan” risulta una serie leggera, da guardare senza impegno, apprezzabile per delle particolari scelte tecniche e registiche che la differenziano da molti altri prodotti del settore, ma da non considerare come una vera e propria trasposizione delle opere di Edogawa, né tanto meno come un giallo canonico. In tutto questo, rimane ancora un mistero da risolvere: quale sarà il vero sesso di Kobayashi?

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