
Una notte di mezza estate. Questo il tempo in cui si compie la storia di seduzione e potere tra Miss Julie (Jessica Chastain) e il maggiordomo John (Colin Farrell).
In un clima di baldoria e festività, grazie ai vincoli sociali allentati, la figlia del barone e il cameriere di casa si ritrovano da soli nella grande residenza di campagna di fine ottocento e mettono in atto una battaglia che non è solo di classe, ma soprattutto di dominio tra i sessi; un gioco attraente e pericoloso che, poco a poco, si trasforma in tormento e tragedia per i due protagonisti.
Liv Ullmann porta sullo schermo l’adattamento del capolavoro teatrale del drammaturgo August Strindberg, per anni censurato e proibito dalle autorità svedesi perché ritenuto osceno e moralmente sovversivo. Nel farlo rispetta i canoni della tragedia e incentra lo svolgimento della vicenda nella grande cucina, dove i due protagonisti si fronteggiano a forza di monologhi, come avviene su un palco teatrale.
Così, nel corso della nottata, vediamo Miss Julie, bella, altera e convinta di poter controllare tutti grazie alla sua posizione, cadere inesorabilmente nella trappola di John. Inizialmente è lei che muove la prima mossa; forse per noia, forse per sentirsi viva nel piacere sadico che viene dallo sperimentare il proprio potere su di un altro.
Ed è bravissima nel mescolare seduzione e ordini, riuscendo a umiliare e al contempo lusingare il maggiordomo. Che però coglie una falla in quest’apparente inattaccabile superbia. Un desiderio latente, che è lo stesso che prova lui, quello di sfuggire al destino sociale cui sono condannati per nascita. Miss Julie è per John la rappresentazione e la promessa di un mondo che lui non potrà mai avere e così la incanta: con parole, buon vino e fantasie di un amore poetico e nobile, che finisce tuttavia col consumarsi in maniera volgare e ordinaria. Così avviene il switch. “Siamo uguali adesso”, dice John, fiero del suo potere e contemporaneamente disgustato dal vedere Miss Julie abbassarsi al suo stesso livello, come un fiore appassito e sporcato dal fango.
In mezzo a questa danza di morte, si trova coinvolta anche Kathleen (Samantha Morton), la governante di casa e fidanzata di John, il solo personaggio davvero puro, per la piena consapevolezza della sua natura e per la solidità dei suoi valori morali.
Il film e, prima ancora, l’opera di Strindberg rappresenta nel modo più tragico le conseguenze dell’infatuazione da dominio.
Jean Paul Sarte ne ‘L’essere e il nulla’, scrive: “È l’altro che mi valuta, che mi giudica, che mi conferisce o mi toglie valore. In tal modo l’altro mi soggioga ed io, per liberarmi, tento di soggiogare lui”.
Si tenta così, attraverso la seduzione, di dominare, di rendere nullo l’altro e di portarlo alla sottomissione: è l’amore distruttivo, sadico, ridotto al riconoscimento della propria personale superiorità.È l’amore che non è amore, che quasi sempre si lega a emozioni contrastanti di repulsione e disprezzo per l’altro che si lascia dominare da noi.
Colin Farrel e Jessica Chastain sono eccezionali nell’esprimere, sostenuti da dialoghi sensibili e sottili, i risvolti psicologici di questa infatuazione. Nel farlo vengono accompagnati da una scelta indovinata del livello visivo: luci e cromie intense che valorizzano i volti dei personaggi e sottolineano l’intensità delle emozioni.
Unica pecca del film è quella, verso la fine, di tendere troppo all’opera puramente teatrale, a scapito del ritmo della storia che rallenta notevolmente.
“L’arte di piacere è l’arte di ingannare” (Marchese di Vauvenargues)

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